Un sensore innovativo a metasuperficie per il dosaggio della vitamina D

Un sensore innovativo a metasuperficie per il dosaggio della vitamina D

Si stima che circa un miliardo di persone nel mondo, specialmente nelle fasce di età più avanzate, soffrano di carenza o insufficienza di vitamina D, alle quali sono state associate diverse condizioni mediche, tra cui diabete, cancro, malattie cardiovascolari e autoimmuni. Il dosaggio della 25-idrossivitamina D3 (25-OH-D3), che rappresenta il marcatore più comune della vitamina D, ha assunto, pertanto, un ruolo essenziale nel monitoraggio di molti pazienti: al momento, tale dosaggio è effettuato in laboratorio mediante procedure particolarmente complesse, basate su composti radioattivi.  Diversi tentativi di commercializzare kit per il dosaggio automatico sono falliti a causa della scarsa affidabilità per concentrazioni al di sotto di 10 ng/mL, ovvero al confine tra l’insufficienza e la carenza.

Illustrazione della piattaforma: rappresentazione schematica (A) e foto (B) della metasuperficie. I quadrati colorati rappresentano sotto-regioni accordate per 'sentire' degli specifici modi vibrazionali. In basso: immagini al SEM
Illustrazione della piattaforma: rappresentazione schematica (A) e foto (B) della metasuperficie. I quadrati colorati rappresentano sotto-regioni accordate per ‘sentire’ degli specifici modi vibrazionali. In basso: immagini al SEM

Uno studio in collaborazione tra il Consiglio nazionale delle ricerche, l’Università del Sannio, l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e il Centro regionale Information communication technology (Cerict) ha dimostrato la possibilità di sviluppare sensori innovativi a luce infrarossa in grado di dosare in maniera affidabile concentrazioni estremamente basse di 25-OH-D3. Lo studio, pubblicato nella rivista Nanophotonics, è stato guidato da Emanuela Esposito dell’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti “Eduardo Caianiello” (Isasi) del Cnr; il team di ricerca comprende anche Valentina Di Meo e Alessio Crescitelli dello stesso istituto, Massimo Moccia e Vincenzo Galdi del dipartimento di Ingegneria dell’Università del Sannio, Annamaria Sandomenico dell’Istituto di biostrutture e bioimmagini (Ibb) del Cnr, Angela M. Cusano del Cerict, Marianna Portaccio e Maria Lepore del dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”.

“La spettroscopia a infrarossi è una metodologia molto potente per rilevare e identificare molecole in maniera univoca, non distruttiva e senza bisogno di marcatori a fluorescenza”, spiega Emanuela Esposito del Cnr-Isasi. “In estrema sintesi, l’interazione tra luce infrarossa e una molecola genera delle vibrazioni nei legami biochimici. Ogni molecola può vibrare in diversi modi, che rappresentano una “firma” molto specifica e riconoscibile, e causano l’assorbimento di particolari lunghezze d’onda nella luce incidente, riducendone quindi l’intensità nella parte che viene riflessa o trasmessa dal campione. Dall’analisi della luce riflessa o trasmessa si può quindi risalire allo spettro di assorbimento, e quindi ai legami biochimici che identificano la particolare molecola. Purtroppo questa tecnica funziona male per concentrazioni molto basse delle molecole da rilevare, perché l’interazione luce-materia è troppo debole, ma il fenomeno può essere amplificato utilizzando delle particolari metasuperfici basate su nanostrutture metalliche”.

“Quando la luce interagisce con nanostrutture metalliche di dimensioni comparabili o più piccole della lunghezza d’onda, si possono generare delle oscillazioni collettive degli elettroni nella banda di conduzione”. aggiunge Vincenzo Galdi del dipartimento di Ingegneria dell’Università del Sannio. “Questo fenomeno, noto come risonanza plasmonica di superficie localizzata, consente di confinare la luce in regioni estremamente piccole, amplificandone enormemente l’interazione con la materia, anche per concentrazioni molto basse. Per poterlo sfruttare nella spettroscopia a infrarossi, è necessario accordare precisamente la lunghezza d’onda delle risonanze plasmoniche con i modi vibrazionali dei legami biochimici caratteristici delle molecole da rilevare. Attraverso delle simulazioni elettromagnetiche al computer, siamo riusciti a progettare una metasuperficie composta da diverse sotto-regioni, in ognuna delle quali la geometria, le dimensioni e la spaziatura delle nanoparticelle metalliche sono accuratamente selezionate per ‘sentire’ un particolare modo vibrazionale associato a un legame biochimico della 25-OH-D3.”

La metasuperficie così progettata è stata fabbricata mediante litografia a fascio elettronico, realizzando delle nanostrutture di oro a forma di croce o asterisco su un chip di silicio. Per consentire alle molecole di 25-OH-D3 di “legarsi” alle nanoparticelle, è stata effettuata una funzionalizzazione mediante uno specifico anticorpo. Il dispositivo così ottenuto è stato caratterizzato mediante uno spettrometro a infrarossi, che ha dimostrato la possibilità di rilevare in maniera affidabile la 25-OH-D3 anche in concentrazioni estremamente basse, fino a circa 0.04 ng/mL, ovvero duecento volte più piccole della soglia di insufficienza.

I risultati ottenuti sono molto promettenti: “La piattaforma proposta presenta numerosi vantaggi rispetto alle metodologie di laboratorio convenzionali basate su composti radioattivi, che richiedono tempi più lunghi e necessitano di reagenti, pre-trattamenti, smaltimento e strumentazione costosa”, concludono i ricercatori. “Inoltre, adattando opportunamente il progetto della metasuperficie e la funzionalizzazione, la piattaforma può essere anche applicata alla rivelazione di tracce di contaminanti e patogeni.”

Per informazioni:

https://www.cnr.it/it/news/9521
Emanuela Esposito
Cnr-Isasi
Via Pietro Castellino 111 80131 NApoli